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06/06/2023

Opere precarie, caratteristiche di amovibilità e oggettiva temporaneità

Secondo la Corte di Cassazione, non può riconoscersi la natura di opera precaria al manufatto che non sia oggettivamente destinato a soddisfare un'esigenza meramente transitoria, anche se facilmente amovibile. Nella sentenza chiarimenti anche sulla responsabilità del direttore dell’Ufficio tecnico del Comune per violazione delle norme urbanistiche.

FATTISPECIE - Nel caso di specie si trattava della realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco-bar con opere annesse, insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico. Il dirigente dell’Ufficio tecnico, condannato per il reato di cui all'art. 323 del Codice penale, sosteneva da un lato, la precarietà delle opere e, dall’altro, la legittimità del suo operato in ordine al parere favorevole rilasciato per il mantenimento delle stesse.

CARATTERISTICHE DELLE OPERE PRECARIE - C. Cass. pen. 03/05/2023, n. 18266 ha ribadito l’orientamento consolidato della giurisprudenza secondo il quale, per definire precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, è necessario ravvisare l'obiettiva e intrinseca destinazione a un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili.
Ciò anche secondo quanto previsto dalla lett. e.5) dell’art. 3, D.P.R. 380/2001, sostituita dall’art. 10 del D.L. 76/2020, secondo cui sono comunque da considerarsi come nuova costruzione gli interventi di "installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee [....]".
In proposito è stato precisato che la natura precaria di un’opera non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo.

Nel caso in esame i giudici di merito avevano quindi correttamente escluso il carattere, indispensabile per poter ritenere non necessario il permesso di costruire, della precarietà strutturale delle opere, evidenziando come fosse stata realizzata un’area pavimentata in cemento di 125 mq., edificato un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l’altro ricadente nel demanio marittimo), costruita una struttura destinata a chiosco in metallo con infissi in alluminio della superficie di 48 mq., dotata di servizi igienici e impianto idrico e fognario.
Si trattava dunque di un intervento edilizio tutt’altro che precario e facilmente amovibile, avente natura di opera stabile e determinante una modifica irreversibile della morfologia del territorio.

REATO DI ABUSO D’UFFICIO - In merito alla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio, la Corte di Cassazione ha affermato che il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, così come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323 del Codice penale ad opera dell'art. 16 del D.L. 76/2020, conv. dalla L. 120/2020, in quanto l'art. 12, comma 1, D.P.R. 380/2001 prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici e il successivo art. 13, D.P.R. 380/2001 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore è tenuto ad osservare, non essendovi margini di discrezionalità riguardo al suo rilascio.
Sul punto la Corte ha precisato che le regole stabilite dagli artt. 12 e 13 del D.P.R. 380/2001, tra cui l’obbligo di conformarsi agli strumenti urbanistici, non lasciano spazi di discrezionalità alla pubblica amministrazione investita della richiesta di rilascio di un titolo abilitativo edilizio, cosicché la fattispecie incriminatrice non può certo dirsi indeterminata quando si correli la violazione di regole di condotta previste dalla legge al mancato rispetto degli strumenti urbanistici, né la condotta tipica risulta imprevedibile o indeterminabile, derivando dette regole di condotta esclusivamente dalla esatta osservanza delle disposizioni del testo unico urbanistico e degli strumenti urbanistici che ne sono attuazione e specificazione.

Dalla redazione