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14/02/2023

Tramezzature interne nel sottotetto e mutamento di destinazione d’uso

Secondo il Consiglio di Stato, la realizzazione di tramezzature interne nel sottotetto non determina necessariamente un mutamento “rilevante” della destinazione d’uso.

Nel caso di specie si trattava della realizzazione di tramezzature interne in un sottotetto di un fabbricato con destinazione a deposito per attrezzature di cantiere.
Il Comune aveva ordinato la demolizione e respinto l’istanza di accertamento di conformità ex art. 36, D.P.R. 380/2001, in quanto, a suo avviso, l’intervento aveva comportato un mutamento della destinazione d’uso in contrasto con la convenzione urbanistica vigente e con il permesso di costruire, che espressamente vietava la tramezzatura nel sottotetto.
Ad avviso del ricorrente invece le opere realizzate costituivano modificazioni esclusivamente interne, essendo l’edificio rimasto inalterato nelle sue componenti essenziali dal punto di vista della consistenza, dimensione e sagoma del fabbricato, senza cambio di destinazione. In conclusione, deduceva il carattere sproporzionato della sanzione della demolizione che la legge prevede solo per opere eseguite senza permesso di costruire e non per quelle realizzabili con DIA (in seguito SCIA) come potevano ritenersi gli interventi edilizi posti in essere.

In proposito il Consiglio di Stato, con la sentenza 20/01/2023, n. 710, ha ricordato che non qualunque forma di utilizzo dell’immobile diversa da quella originariamente prevista costituisce un mutamento rilevante della destinazione d’uso, ma soltanto un tipo di utilizzo il quale comporti che l’unità immobiliare risulti destinata a una diversa categoria funzionale fra quelle elencate all’art. art. 23-ter, D.P.R. 380/2001.

Nel caso in esame i vani risultavano destinati al perseguimento degli scopi e delle attività tipiche della categoria iniziale e la prevista destinazione a deposito per attrezzature di cantiere non impediva in radice qualunque presenza di persone nell’immobile, in particolare se limitata nel tempo e del tutto accessoria rispetto all’esercizio dell’attività principale.
Inoltre il Comune non aveva indicato per quali ragioni la realizzazione dei vani dinanzi descritti sarebbe stata idonea ad imprimere al manufatto una destinazione del tutto nuova, diversa, incompatibile con quella originaria e riferibile a una diversa categoria funzionale fra quelle previste dall’articolo 23-ter del D.P.R. 380/2001.
In sostanza, le pur sussistenti difformità rispetto al titolo non avevano comunque determinato un effettivo e dimostrato mutamento dell’originaria destinazione d’uso, con passaggio a una diversa categoria funzionale. Pertanto risultava ammissibile l’accertamento di conformità richiesto dal ricorrente.

Concludendo, il Consiglio di Stato ha richiamato il condiviso orientamento secondo cui il cambio di destinazione d'uso di un preesistente manufatto non richiede alcun titolo abilitativo nel solo caso in cui si realizzi fra categorie edilizie omogenee; viceversa, il cambio di destinazione d'uso che interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta a permesso di costruire.

Dalla redazione