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23/01/2024

Requisiti delle vedute ai fini dell'applicazione della normativa sulle distanze

Il TAR Campania spiega le differenze tra le luci e le vedute ai fini dell’accertamento della violazione dei limiti di distanza stabiliti dall’art. 9 del D.M. 1444/1968.

Nel caso di specie si trattava dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato oggetto di concessione edilizia in sanatoria. Secondo il vicino il progetto edilizio era caratterizzato da illegittime variazioni sostanziali sotto il profilo urbanistico. In particolare, rilevava la violazione delle distanze legali di cui all’art. 9, D.M. 1444/1968 e violazioni in materia di distanze di aperture e vedute dirette del Codice civile (art. 902, 905 e 906 c.c.).

DISTANZE TRA PARETI FINESTRATE - Il TAR Campania Salerno 01/12/2023, n. 2841 ha ricordato che l’art. 9 del D.M. 1444/1968 fissa la distanza minima che deve intercorrere tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tale disposizione fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza, unicamente le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci. Ne consegue la non applicabilità dell’art. 9 predetto in punto di distanza minima in presenza di aperture da qualificare come luci (v. C. Stato 05/10/2015, n. 4628).

LUCI E VEDUTE, DIFFERENZE - In proposito i giudici hanno spiegato che la semplice possibilità di vedere o guardare frontalmente, connaturata al genus “finestre o aperture”, non basta ad integrare la figura specifica della veduta; né peraltro è incompatibile con la più neutra nozione di luce, che, in negativo, è caratterizzata dal non permettere di affacciarsi sul fondo del vicino.
In particolare, il TAR ha evidenziato che il requisito tipico ed esclusivo della veduta consiste nella possibilità di "affacciarsi" e quindi di “guardare” non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente. Ciò conferisce all'apertura quella speciale attitudine visiva - consistente nell'assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale - che esula dalla semplice luce e da essa la discrimina (v. C. Cass. civ., sez. unite, 28/11/1996, n. 10615).
In sostanza, per la sussistenza della veduta è necessaria la presenza cumulativa dei requisiti:
- della inspectio, intesa come possibilità di vedere o guardare frontalmente il fondo del vicino, e
- della prospectio, intesa come affaccio mediante la sporgenza del capo dall’apertura che consente di guardare anche obliquamente e lateralmente il fondo del vicino.
Secondo la giurisprudenza richiamata dal TAR, deve inoltre escludersi l'esistenza di un “tertium genus” diverso dalle luci e dalle vedute. Ne consegue che:
- l'apertura priva delle caratteristiche della veduta (o del prospetto) non può che essere qualificata giuridicamente come luce;
- va valutata quale luce e, pertanto, sottoposta alle relative prescrizioni legali, anche in difetto dei requisiti a tale scopo prescritti dalla legge, l'apertura che sia priva del carattere di veduta o prospetto; in tal caso, dunque, il proprietario del fondo vicino può sempre pretenderne la regolarizzazione, tenuto conto che il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto, per usucapione della corrispondente servitù (v. C. Cass. civ. 17/11/2021, n. 34824).
Ciò posto, nella vicenda in esame risultava che le aperture del fabbricato non avrebbero consentito l’inspectio e la prospectio nel fondo della ricorrente; inoltre, tutte le aperture erano munite di inferriate metalliche che non permettevano l’affaccio. Di conseguenza andavano qualificate come luci e non quali vedute.

Dalla redazione