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16/03/2023

Interventi edilizi in pendenza del procedimento di condono edilizio

Il Consiglio di Stato fornisce interessanti chiarimenti in tema di condono edilizio, indicando gli interventi non ammessi in pendenza del relativo procedimento.

FATTISPECIE - Nel caso di specie il Comune aveva respinto l'istanza di sanatoria presentata ai sensi della L. 724/1994, avente ad oggetto la realizzazione di una tettoia. Il TAR riteneva che il diniego fosse legittimo in quanto, successivamente alla domanda, gli appellanti avevano apportato modifiche strutturali all’opera, realizzando una nuova tettoia, diversa da quella oggetto della domanda di condono per materiali utilizzati e volumetria totale.
Secondo i ricorrenti le modifiche erano irrilevanti in quanto l’opera non era stata ricostruita ex novo ma solo modificata e ampliata. In ogni caso sostenevano che il Comune avrebbe dovuto rilasciare il titolo in sanatoria almeno nei limiti della domanda e sospendere il procedimento fino alla demolizione della parte che risultava modificata/ampliata.

C. Stato 10/03/2023, n. 2568 ha respinto tutti i motivi di ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.

INTERVENTI IN PENDENZA DELLA SANATORIA - In pendenza di procedimento di condono di un manufatto, gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne la conservazione: essi non possono spingersi all'esecuzione di opere destinate a mutarne la struttura, i volumi, i prospetti, salvo che siano indispensabili - previa, in tal caso, necessaria preventiva interlocuzione con l'Amministrazione - al fine di consentire di stabilire quali siano i caratteri e le esatte dimensioni del manufatto abusivo per verificarne la condonabilità.
La normativa sul condono postula la permanenza dell'immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive né finanche l'impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari, comportanti di fatto la qualificazione dell'intervento come sostituzione edilizia, venendo meno la continuità tra vecchia e nuova costruzione e l'attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell'istanza di condono.
Pertanto, la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell'eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.

La ratio di tale orientamento risiede:
- da una parte, nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento: ciò per la ragione che il condono straordinario ex L. 47/1985 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni;
- d’altra parte v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.

Di conseguenza, l’art. 35 della L. 47/1985, che consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile, deve considerarsi norma di stretta interpretazione, la cui violazione innesta la presunzione che l’immobile oggetto di condono sia stato trasformato in modo tale da non consentire all’amministrazione di determinare in modo preciso la consistenza delle opere oggetto dell’abuso originario.
Spetta allora all’interessato dimostrare che l’intervento oggetto di condono è ancora riconoscibile ed è assolutamente conforme a quello rappresentato nella istanza di condono, essendo tale accertamento assolutamente necessario per la ulteriore procedibilità della domanda di condono e fermo restando che tutto quanto non sia ad essa riconducibile deve essere senz’altro demolito, in quanto non condonabile né sanabile, per definizione.

In applicazione di tali principi, risultava dunque irrilevante l’assunto dei ricorrenti secondo il quale l’opera non costituirebbe un novum rispetto a quella precedente, essendo sufficiente che gli interventi eseguiti abbiano comportato una significativa modificazione dello stato dei luoghi, come avvenuto nel caso di specie.

INAMMISSIBILITÀ DEL CONDONO CONDIZIONATO - Con riferimento alla pretesa di ottenere un permesso di costruire in sanatoria “condizionato” alla demolizione della porzione eccedente la domanda, il Consiglio di Stato ha ritenuto tale opzione preclusa alla luce del principio di tipicità del potere amministrativo, che non consente di configurare un condono edilizio “condizionato” nei termini prospettati.
Al riguardo è stato osservato che l’opera si presentava strutturalmente diversa da quella oggetto della domanda di condono, sicché anche l’eventuale demolizione della volumetria eccedente non avrebbe comportato la reviviscenza della precedente tettoia.
Inoltre l’opera era stata ricostruita in epoca successiva alla presentazione dell’istanza e non era stata oggetto di alcuna domanda di sanatoria edilizia; pertanto l’apposizione di una condizione al provvedimento di sanatoria consentirebbe l’ottenimento del condono in casi non previsti dalla legge e comporterebbe un'elusione dei requisiti stabiliti, ponendosi in contrasto con il principio di tipicità del potere in questione.

In merito alla possibilità di applicazione del disposto dell’art. 21 quater della L. 241/1990, ai sensi del quale l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa per gravi ragioni e fino al termine indicato nel provvedimento (nella fattispecie fino alla demolizione), i giudici hanno affermato che in tali casi non sussistono le gravi ragioni richieste dalla norma e che la demolizione del manufatto, essendo un evento futuro ed incerto rimesso alla iniziativa dell’istante, non è configurabile come termine ma come condizione.

INTERESSI DEL PRIVATO - Infine, è stato precisato che il diniego di condono in mancanza dei requisiti stabiliti dalla legge costituisce un atto dovuto che non richiede alcuna ponderazione con gli interessi del privato alla conservazione dell’immobile, al pari di quanto costantemente ritenuto dalla giurisprudenza con riferimento all’ordine di demolizione dei manufatti abusivi.

Dalla redazione