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19/01/2023

Infiltrazioni causate da lavori di ristrutturazione, responsabilità committente e appaltatore

La consegna del bene all’appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicché questi resta responsabile, alla stregua dell’art. 2051 del Codice civile, dei danni cagionati ai terzi dall’esecuzione dell’opera. In assenza di caso fortuito, sussiste il concorso di responsabilità del committente e dell’appaltatore, in via tra loro solidale, verso il terzo danneggiato - App. Roma 13 gennaio 2023, n. 219.

A cura di Maurizio Tarantino

LA VICENDA
Responsabilità solidale del committente e della ditta appaltatrice

Nel giudizio di primo grado, Tizio e Caia avevano convenuto in giudizio Mevia in qualità di proprietaria dell’appartamento ubicato al piano superiore a quello degli attori, nonché la Società Beta, in quanto ditta a cui erano stati affidati i lavori di ristrutturazione. Dunque, gli attori avevano chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno causato dalle infiltrazioni provenienti dall’appartamento sovrastante in danno della loro proprietà.
In particolare, nella vicenda, durante tali operazioni di ristrutturazione, i dipendenti della Società Beta avevano modificato - all’interno dell’appartamento di Mevia - la posizione di un radiatore che, a causa della lesione di un punto di allaccio dell’impianto idraulico di riscaldamento avvenuta a cantiere chiuso, aveva provocato una copiosa perdita d’acqua, interessando l’appartamento sottostante di proprietà degli odierni appellati.
In ragione dell’accaduto, i dipendenti della Società Beta avevano praticato con urgenza dei fori nel controsoffitto, evitando il collasso dell’intera struttura ma, allo stesso tempo, riversando tutta l’acqua ristagnante all’interno dell’appartamento e provocando ulteriori danni per le vibrazioni dei trapani utilizzati.
In primo grado, è stata accertata la responsabilità solidale della Società Beta e della proprietaria Mevia al pagamento in favore dei danneggiati del richiesto risarcimento danno. Il giudice di prime cure, inoltre, ha riconosciuto in aggiunta un’ulteriore somma, tenuto conto dell’incidenza negativa sulla godibilità e salubrità dell’immobile dovuta all’allagamento.

Responsabilità oggettiva della ditta appaltatrice
Avverso il provvedimento in esame, Mevia ha proposto appello, chiedendo il rigetto della domanda di risarcimento sul presupposto della mancanza di una sua responsabilità in relazione al danno oggetto del contenzioso.
A sostegno di tale tesi, secondo Mevia, la custodia dell’immobile e il potere di fatto sulla cosa erano imputabili esclusivamente alla Società Beta poiché i lavori non erano ancora ultimati al momento del verificarsi del fatto dannoso; quindi, a suo dire, la ditta era l’unica responsabile dei danni in forza della responsabilità oggettiva derivante dal potere fisico sulla cosa, che determina l’obbligo di prevenire e controllare il rischio di cagionare danni nei confronti dei terzi.
Inoltre, secondo l’appellante, l’istruttoria espletata non aveva consentito di ritenere provati gli esborsi sostenuti, non essendo stata data dagli interessati la prova dei costi sostenuti per tali voci di danno che pertanto non possono ritenersi provate ex art. 2967 del Codice civile.

IL RAGIONAMENTO DEL GIUDICE
Necessario provare il totale affidamento dell’immobile all’appaltatore
Secondo la Corte territoriale, nella vicenda, vengono estesi gli effetti della responsabilità oggettiva derivante da danno cagionato da cose in custodia tanto al committente quanto alla ditta incaricata dei lavori di ristrutturazione, con particolare riferimento al caso in cui il proprietario dell’appartamento non provi di aver affidato totalmente all’appaltatore la custodia del bene oggetto di ristrutturazione, o il caso fortuito.
Nel caso di specie, in particolare, tale prova positiva non era stata affatto fornita da parte appellante che - pur producendo il contratto di ristrutturazione effettivamente ancora in esecuzione nella data in cui si era verificato l’evento dannoso - non produceva alcuna prova in merito alla circostanza del totale affidamento dell’immobile all’appaltatore, né tale ipotetica circostanza poteva dirsi desumibile dal contratto di appalto stipulato per regolare i lavori di ristrutturazione.

Gli esborsi per trovare altro immobile
Secondo la Corte territoriale, a questo proposito, le ulteriori somme liquidate dal giudice di prime cure trovavano giustificazione, per un verso, nel ragionevole esborso necessario per reperire altro immobile in locazione da adibire ad abitazione del nucleo familiare, oltre che per traslocare e depositare i mobili e arredi durante tutto il tempo necessario per l’esecuzione dei lavori di ripristino, e, per altro verso, per l’incidenza negativa derivata dalle infiltrazionisulla facoltà di godimento e utilizzo del bene.
Difatti, dall’esame della CTU, la situazione dell’immobile era stata foriera di notevoli disagi per gli attori, i quali si erano visti privare della facoltà di fruire del bene per tutto il tempo occorrente per l’esecuzione dei lavori di ripristino.

In conclusione, la Corte territoriale ha ritenuto corretta la condanna in solido statuita dal Tribunale nei confronti della committente e della ditta appaltatrice, quindi la responsabilità oggettiva che nei rapporti interni è stata imputata ai debitori in parti uguali.

CONCLUSIONI SUI DANNI ARRECATI A TERZI DAI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE E PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
In argomento, giova ricordare che - nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata - non viene meno per il committente e detentore del bene, il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 del Codice civile.
Tale responsabilità, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo (Cass. civ. 18/07/2011, n. 15734: nella specie, lavori idraulici all’interno dell’immobile).
Difatti, la responsabilità individuata dall’art. 2051 del Codice civile deve ritenersi configurabile anche in capo al proprietario dell’immobile oggetto di lavori di rifacimento, per danni cagionati a terzi e diretta conseguenza di detti lavori.
Né può ritenersi che il proprietario cessi di averne la disponibilità e dunque la custodia per averne pattuito nel contratto d’appalto la ristrutturazione.
Pertanto, salvo che venga fornita la prova positiva di avere affidato totalmente all’appaltatore la custodia del bene oggetto di ristrutturazione, il proprietario deve dirsi responsabile ai sensi dell’art. 2051 del Codice civile per danni provocati a terzi in quanto custode della cosa, avendo egli l’obbligo di impedire il verificarsi di detti danni, vigilando e controllando la corretta esecuzione dei lavori commissionati (Trib. Bari 15/01/2009, n. 71).

In definitiva, nell’appalto il committente conserva sempre un rapporto con il bene sul quale vengono fatti i lavori che si identifica come un potere giuridico o di fatto sul bene stesso; rispetto all’appaltatore, il titolare ricopre il ruolo di committente mentre rispetto ai terzi ha il ruolo di custode del bene.
Di conseguenza, nei confronti di terzi danneggiati, durante lo svolgimento delle opere d’appalto da contratto, il committente è gravato da una responsabilità oggettiva per i danni da cose in custodia che non viene meno neppure quando il bene sia stato consegnato materialmente all’appaltatore per l’esecuzione materiale dei lavori (Cass. civ. 22/04/2022, n. 12909).

Dalla redazione