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24/11/2022

Accertamento beni comuni condominiali: il caso della corte circostante l’edificio

Secondo Cass. civ. 28 ottobre 2022, n. 31995, la presunzione legale di comunione, stabilita dall’art. 1117 del Codice civile, è operante anche in relazione ad un cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale.

A cura di Maurizio Tarantino

LA VICENDA
Accertamento della proprietà condominiale quale spazio da destinarsi a parcheggio
La causa verte sulla porzione del cortile circostante l’unità immobiliare, posta al piano rialzato del fabbricato, di proprietà esclusiva di Mevia (costruttrice del complesso), la quale è proprietaria altresì di distinto immobile non compreso nel condominio ma confinante con esso.

Ebbene, nel giudizio di merito, la Corte d’appello aveva respinto l’appello avanzato dai condomini Tizio e Caio contro la sentenza resa dal Tribunale, così confermando il rigetto delle domande proposte dagli stessi nei confronti Mevia.
I condomini avevano domandato l’accertamento della proprietà condominiale, quale spazio da destinarsi a parcheggio ex art. 1117 del Codice civile, dell’area circostante l’unità immobiliare posta al piano rialzato di proprietà esclusiva di Mevia (costruttrice del fabbricato), nonché l’eliminazione di una finestra e di altri manufatti realizzati da Mevia.
Secondo i giudici, non avrebbe avuto senso l’inserimento nei titoli di proprietà degli appellanti di una riserva d’uso in favore di Mevia, proprio perché quest’ultima era proprietaria esclusiva. Era poi decisiva secondo i giudici di appello la circostanza che, negli stessi contratti di acquisto, le unità immobiliari degli appellanti erano definite come confinanti con la proprietà di Mevia. Tale conclusione, secondo la Corte d’appello, non contrastava con i dati catastali, né dalla individuazione dell’area destinata a parcheggio contenuta nelle concessioni rilasciate. Da ultimo, i giudici avevano considerato legittime la tettoia e la grondaia realizzate nella proprietà di Mevia con funzione di riparazione dall’acqua.

Le contestazioni dei condomini
Tizio e Caio avevano proposto ricorso in Cassazione eccependo la violazione degli artt. 2697, 1117 e 840 del Codice civile quanto all’accertamento della proprietà della corte circostante la proprietà di Mevia. Inoltre, i ricorrenti insistevano nella domanda di arretramento della tettoia e della pensilina di Mevia invadenti lo spazio sovrastante il parcheggio condominiale.

IL RAGIONAMENTO DELLA CASSAZIONE
L’accertamento del cortile di proprietà condominiale
Preliminarmente, osserva la S.C., la presunzione legale di comunione, stabilita dall’art. 1117 del Codice civile, è operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi e autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale (Cass. civ. 30 luglio 2004, n. 14559; Cass. civ. 24 maggio 1972, n. 1619).
Dunque, a parere della Cassazione, era del tutto errata la conclusione dei giudici di merito. Difatti, l’individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall’art. 1117 del Codice civile, non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. civ. S.U., 7 luglio 1993, n. 7449).

Quindi, a parere dei giudici di legittimità, nella vicenda era decisivo accertare l’eventuale obiettiva destinazione primaria del cortile di causa a dare aria, luce ed accesso al servizio esclusivo della unità immobiliare di proprietà di Mevia, e quindi la relazione di accessorietà necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava il bene in contesa (inserito tra le parti comuni) alla individuata porzione di proprietà singola.

La prova contraria
La disciplina condominiale può essere superata “soltanto” dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali.
Per meglio dire, la situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice civile, si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.
Ne deriva che quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’art. 1117 del Codice civile, è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si fosse riservato l’esclusiva titolarità dell’area (Cass. civ. 17 febbraio 2020, n. 3852).
In questo caso, la Corte d’appello doveva dirimere la lite non facendo affidamento sui titoli di acquisto dei condomini ricorrenti, ma individuando l’atto di frazionamento iniziale da cui si generò la situazione di condominio edilizio, con correlata operatività della presunzione ex art. 1117 del Codice civile di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero -in tale momento costitutivo del condominio - destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari. Sarebbe quindi occorso verificare se nel titolo originario sussistesse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente all’unità immobiliare di Mevia la proprietà del cortile ad essa circostante.

L’arretramento della tettoia
I ricorrenti, inoltre, avevano chiesto l’arretramento della tettoia e della pensilina invadenti lo spazio sovrastante il parcheggio condominiale per una estensione di cm. 50.
Anche in tal caso, la Corte d’appello aveva erroneamente disapplicato il disposto dell’art. 908 del Codice civile, il quale impone al proprietario dell’edificio l’obbligo di costruire i tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nel suo terreno e non nei fondi finitimi, escludendo la configurabilità di un limite legale della proprietà analogo a quello previsto dal successivo art. 913 del Codice civile, che disciplina il deflusso delle acque che scolano naturalmente.
Pertanto, una deroga alla disciplina contenuta nell’art. 908 del Codice civile, come quella che nel caso di specie si ha per realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo di proprietà condominiale conseguente alla costruzione di una tettoia sporgente sullo spazio aereo di quest’ultimo, può trovare il suo fondamento unicamente nella costituzione di una servitù di stillicidio e di sporto, la quale, facendo venire meno il limite legale della proprietà imposto dalla norma in oggetto, consenta tale scolo e l’immissione nel fondo confinante (Cass. civ. 7 dicembre 1977, n. 5298; Cass. civ. 29 ottobre 1976, n. 3982), legittimando - altrimenti- la proposizione di una azione negatoria volta altresì alla rimozione delle opere abusivamente realizzate.

CONCLUSIONI SUL CORTILE COMUNE E PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene inteso come “cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 del Codice civile, qualsiasi area scopertacompresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l’accesso, o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture (Cass. civ. 8 settembre 2021, n. 24189; Cass. civ. 17 febbraio 2020, n. 3852; Cass. civ. 15 febbraio 2018, n. 3739; Cass. civ. 2 agosto 2010, n. 17993; Cass. civ. 30 luglio 2004, n. 14559; Cass. civ. 29 ottobre 2003, n. 16241).
Anche le aree da destinare obbligatoriamente ad appositi spazi a parcheggi, ai sensi della speciale normativa urbanistica dettata dall’art. 41-sexies della L. 1150/1942 (introdotto dall’art. 18 della L. 765/1967), globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale ai sensi dell’art. 1117 del Codice civile, come peraltro risulta testualmente dallo stesso articolo successivamente all’entrata in vigore della L. 220/2012 (Cass. civ. 10 settembre 2020, n. 18796; Cass. 14 giugno 2019, n. 16070).

Premesso quanto innanzi esposto, la “presunzione legale” di proprietà comunedi parti del complesso immobiliare in condominio, la quale si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della res, sia nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo (sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali), dispensa il condominio dalla prova del proprio diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica.
Diversamente, ai condomini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all’art. 1117 del Codice civile basta dimostrare la rispettiva proprietà esclusiva nell’ambito del condominio per provare anche la comproprietà di quei beni che tale norma contempla.
Di contro, il condomino che pretende l’appartenenza esclusiva di un bene che - in base all’art. 1117 del Codice civile - è annoverato tra i beni comuni, deve dare la prova della sua proprietà esclusiva mediante un titolo contrario(Cass. civ. 28 febbraio 2018, n. 4687).

Dalla redazione