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11/02/2022

Motivazioni del diniego del PdC e destinazione d’uso di fatto dell’immobile

Secondo il TAR Campania è illegittimo il diniego del permesso di costruire motivato con ragioni ulteriori rispetto a quelle prospettate nel preavviso di rigetto. I giudici hanno anche chiarito che la destinazione d’uso dell’immobile è quella che risulta dal titolo edilizio, essendo irrilevante un “uso di fatto” diverso.

PREAVVISO DI RIGETTO - L’art. 10-bis della L. 07/08/1990, n. 241 stabilisce che nei procedimenti ad istanza di parte (fatte salve alcune eccezioni) il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda (preavviso di rigetto). Entro il termine di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni deve darsi ragione nella motivazione del provvedimento finale.
Secondo la giurisprudenza consolidata, la comunicazione prevista da tale articolo è finalizzata all’instaurazione di una ulteriore fase di contraddittorio procedimentale, a carattere necessario, che consente un ruolo collaborativo del privato nella fase della valutazione anche in fatto delle circostanze rilevanti nella specifica vicenda, allo scopo di contribuire a far emergere elementi utili ad una adeguata istruttoria.

INAMMISSIBILITÀ DI MOTIVAZIONI ULTERIORI - TAR Campania-Napoli 26/01/2022, n. 513 ha chiarito che l’esigenza del pieno rispetto delle garanzie procedimentali derivante dall’art. 10-bis della L. 241/1990 non può essere soddisfatta qualora il provvedimento finale di diniego sia fondato su motivazioni ulteriori rispetto a quelle oggetto di preavviso, poiché in tal caso tali garanzie sono formalmente rispettate (avendo l’amministrazione adottato comunque il preavviso di rigetto e quindi attivato il contraddittorio procedimentale), ma nella sostanza eluse, non avendo potuto il privato sostanzialmente contribuire in relazione ai motivi ulteriori dedotti dall’amministrazione a supporto del diniego e non evincibili da quelli espressamente indicati.
Da tali considerazioni discende che all’Amministrazione non è consentito integrare le ragioni del diniego con ulteriori considerazioni, mai svolte prima e non comunicate nel preavviso di rigetto. Deve dunque considerarsi illegittimo, per violazione dell'art. 10-bis, L. 241/1990 il provvedimento di diniego la cui motivazione sia arricchita di ragioni giustificative diverse e ulteriori rispetto a quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza del privato.

DESTINAZIONE D’USO DI FATTO DELL’IMMOBILE - Il TAR ha inoltre affermato che per destinazione d'uso dell’immobile deve intendersi, ai sensi dell’art. 23-ter del D.P.R. 06/06/2001, n. 380, quella risultante dai titoli giuridici o dalle risultanze catastali, essendo irrilevante un uso concreto che si assume sia o meno stato praticato sull’immobile. Ed infatti la destinazione di un immobile non si identifica con l'uso che ne fa in concreto il soggetto che lo utilizza (mutamento d'uso di fatto), ma con quella impressa dal titolo abilitativo, assumendo una connotazione oggettiva che vale ad individuare in modo inconfutabile ed evidente un determinato bene dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale uso, anche se si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex se la qualificazione giuridica dell'immobile. In altri termini, la destinazione d'uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale.

Sul tema si ricorda che il comma 2 dell'art. 23-ter, D.P.R. 380/2001 - inserito dall'art. 10, D.L. 76/2020 - prevede che la destinazione d’uso dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, D.P.R. 380/2001 (anch'esso inserito dall'art. 10 del D.L. cit.) secondo cui lo “stato legittimo” dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le informazioni catastali o altri documenti probanti assumono rilievo per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio o nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.
Tali disposizioni, come detto, valgono anche per la destinazione d’uso dell’immobile (vedi in proposito Stato legittimo e destinazione legittima degli immobili: cosa dice il DL “Semplificazioni”).

Dalla redazione