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17/01/2022

Professioni, contestazione del compenso richiesto e onere della prova

La Corte di Cassazione si pronuncia sull’onere della prova in caso di contestazione da parte del committente del compenso richiesto dal professionista.

FATTISPECIE - Nel caso di specie il ricorrente contestava l’importo del compenso delle prestazioni professionali prestate in suo favore da uno studio di architetti, lamentandone l'esorbitanza, l'incongruenza e l'eccessività, senza peraltro contestare in modo specifico l'applicazione dei criteri di determinazione. In particolare sosteneva che la sentenza della Corte d’Appello avesse erroneamente applicato la regola dell’onere della prova, in quanto aveva ritenuto provato il credito vantato dal professionista e giudicato generica la contestazione sul quantum da lui stesso avanzata, gravandolo così di un onere di allegazione e di prova che, a fronte della contestazione sollevata, avrebbe dovuto porsi a carico del professionista.

ONERE DELLA PROVA - Per risolvere la questione, C. Cass. civ. 01/12/2021, n. 37788 ha affermato il principio secondo il quale in tema di contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 2697 c.c. (onere della prova) e art. 115, comma 1, c.p.c. (criterio di non contestazione), il debitore:
a) ha l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista nel caso in cui essa muova da un conteggio preciso e dettagliato,
b) mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri, che, vale a dire, l'importo richiesto è quello dovuto, sulla base della convenzione delle parti, delle tariffe professionali applicabili o degli usi, ai sensi dell'art. 2225, c.c.

CONCLUSIONI - Ciò posto, la Corte ha rilevato che lo Studio tecnico associato aveva inviato una mail in cui venivano riepilogate le prestazioni eseguite fino a quel momento, con la relativa quantificazione del compenso. I giudici di legittimità hanno dunque ritenuto che la Corte distrettuale avesse compiuto la valutazione oggetto di censura proprio alla luce del contenuto di tale missiva e che, pertanto, avesse applicato correttamente la regola sull'onere della prova.
Del resto il ricorrente non aveva rilevato l’indeterminatezza del conteggio inserito in tale documento, con riguardo ai criteri utilizzati.
Sulla base di tali considerazioni la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata, respingendo il ricorso del debitore.

Dalla redazione