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15/12/2021

Fiscalizzazione dell’abuso: presupposti per l’applicabilità e calcolo della sanzione

Il Consiglio di Stato ribadisce alcuni interessanti principi in materia di fiscalizzazione dell’illecito edilizio, spiegando le modalità di calcolo dell’importo della sanzione anche in caso abusi consistenti in aumenti di volumetria e non di superficie. Nella pronuncia chiarimenti anche sugli effetti (non sananti) della certificazione di agibilità sulle opere illegittimamente realizzate.

FATTISPECIE - Nel caso di specie il ricorrente contestava il provvedimento del Comune avente ad oggetto l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 34, D.P.R. 380/2001 con riferimento alla realizzazione di opere eseguite in difformità dalla concessione edilizia (maggiore altezza di un fabbricato ad uso residenziale). Il ricorrente deduceva:
- l’assenza di valutazione dell’impossibilità di demolire da parte del Comune prima dell’adozione del relativo provvedimento;
- l’erroneità del calcolo effettuato dall’amministrazione sull’entità della sanzione, in quanto la maggiore altezza del fabbricato non avrebbe inciso in termini economici sulla valutazione dell’immobile, non sussistendo una maggiore superficie fruibile;
- l’avvenuto rilascio per silenzio assenso del certificato di agibilità.

PRESUPPOSTI PER L’APPLICABILITÀ DELLA FISCALIZZAZIONE DELL’ABUSO - Ai sensi del comma 2 dell’art. 34, D.P.R. 380/2001, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla L. 27/07/1978, n. 392 (Legge sull’equo canone), della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della Agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale (c.d. fiscalizzazione dell’illecito edilizio).

C. Stato 23/11/2021, n. 7857 ha ricordato che tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria - posta da tale normativa - deve essere valutata dall’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione. L’art. 34 cit., infatti, ha valore eccezionale e derogatorio, non competendo all'amministrazione procedente di dover valutare, prima dell'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso, se essa possa essere applicata, piuttosto incombendo sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (vedi C. Stato 10/05/2021, n. 3666).

QUANTIFICAZIONE DELLA SANZIONE - Con particolare riferimento alla ritenuta illegittimità dell’entità della sanzione inflitta, il Consiglio di Stato ha richiamato l’orientamento secondo il quale, allorquando il Comune eserciti il potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, la disciplina sanzionatoria applicabile è quella vigente al momento dell'esercizio del potere sanzionatorio. Ciò in quanto l'abuso edilizio, rivestendo i caratteri dell'illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente; l'illecito sussistendo anche quando il potere repressivo si fondi su di una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l'abuso è stato compiuto.
Ciò posto i giudici hanno, da un lato, ribadito che per gli immobili residenziali il comma 2 dell’art. 34, D.P.R. 380/2001, prevede la sanzione pari al doppio del costo di produzione; dall’altro, che deve ritenersi legittima, in ossequio al rinvio materiale alla normativa sull'equo canone ad opera del medesimo comma 2, l’applicazione dei criteri di attualizzazione contemplati dalla stessa normativa.
In conclusione è stata condivisa l'impostazione dell'amministrazione comunale che, ai fini della sanzione, aveva:
- applicato il costo di produzione previsto dai Decreti attuativi della L. 392/1978 (vedi Determinazione del canone di locazione immobiliare e aggiornamento con Indici ISTAT) alla maggiore superficie;
- ricavato la maggiore superficie dal complessivo volume realizzato diviso per la media dell’altezza dei singoli piani (sul punto la sentenza appellata aveva infatti specificato che “allorché la difformità si traduca in un esubero di volumetria anziché di superficie, è logico e congruo che il Comune calcoli il dato mancante di superficie attraverso la divisione del volume accertato per l’altezza”);
- raddoppiato l’importo come sopra calcolato.

AGIBILITÀ E REGOLARITÀ EDILIZIA E URBANISTICA - In merito all’avvenuto rilascio dell’agibilità (per silenzio assenso), il Consiglio di Stato ha ricordato che il permesso di costruire e la certificazione di agibilità sono collegati a presupposti diversi. La diversa struttura e funzione dei due titoli esclude non solo che i suddetti certificati possano avere valenza sostitutiva dei titoli edilizi, ma anche che possa sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati.
Peraltro la certificazione di agibilità presuppone necessariamente la conformità delle opere realizzate al progetto approvato, sussistendo dunque inevitabilmente un collegamento funzionale tra i due provvedimenti. Conseguentemente si deve ritenere che il rilascio del certificato debba essere negato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio e che la validità e l’efficacia del permesso di costruire possano condizionare quelle del certificato di agibilità.

Dalla redazione