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19/10/2021

Scala esterna in cemento armato, regime edilizio e rispetto delle distanze

Il Consiglio di Stato si pronuncia sul diniego di sanatoria e ordine di demolizione di una scala esterna in cemento armato realizzata senza il rispetto delle distanze legali di cui al D.M. 1444/1968.

FATTISPECIE - Nel caso di specie il ricorrente contestava un ordine di demolizione relativo alla realizzazione, in difformità rispetto ai titoli rilasciati, di una scala aperta in cemento armato (m. 1,40x4,30) situata nel cortile condominiale e collegata con il balcone del primo piano dell’immobile. L’Amministrazione aveva negato il permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36, D.P.R. 380/2001, in ragione del mancato rispetto della distanza di 10 metri di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968 tra pareti finestrate. Secondo il ricorrente, alla luce dell’art. 5 del D.L. 32/2019 (convertito dalla L. 55/2019), i limiti di distanza tra fabbricati previsti dal citato articolo si riferirebbero esclusivamente alle zone omogenee C corrispondenti alle parti del territorio non edificate o con edificazione di minore intensità, e non alla zona B dove era situato il fabbricato in contestazione.
Il C. Stato 04/10/2021, n. 6613 ha respinto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.

NECESSITÀ DEL PERMESSO DI COSTRUIRE - Secondo il Consiglio di Stato, l’opera contestata, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, era subordinata al previo ottenimento del permesso di costruire in quanto corpo autonomo in grado di modificare sagoma e prospetto dell’originario edificio (analoghe considerazioni valgono per il manufatto adibito a garage, anch'esso oggetto dell'ordinanza demolitoria). Sul punto è stato ricordato che la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica.

ONERE DELLA PROVA DELLA PREESISTENZA - Con riferimento alle deduzioni secondo cui il manufatto sarebbe stato realizzato in epoca risalente, i giudici hanno richiamato l'orientamento giurisprudenziale che afferma che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’Amministrazione.

ORDINE DI DEMOLIZIONE TARDIVO E LEGITTIMO AFFIDAMENTO - È stato inoltre ricordato che secondo la giurisprudenza consolidata, non può avere rilievo, ai fini della validità dell’ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e la conclusione dell’iter sanzionatorio. La mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento, e ciò anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi (vedi C. Stato Ad. Plen. 17/10/2017, n. 9).

DINIEGO DI SANATORIA PER CONTRASTO CON LE NORME SULLE DISTANZE - Sul punto il Consiglio di Stato ha affermato che la violazione delle distanze è elemento di per sé sufficiente a supportare il diniego di sanatoria. In ordine alle censure del ricorrente è stato precisato che:
- le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, dalle quali vanno escluse soltanto le parti ornamentali, di rifinitura ed accessorie di limitata entità e i cosiddetti sporti (cornicioni, lesene, mensole, grondaie e simili) che sono irrilevanti ai fini della determinazione dei distacchi. Sono rilevanti, invece, anche in virtù del fatto che essi costituiscono “costruzione” le parti aggettanti (quali scale, terrazze e corpi avanzati) anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie e in volume) la consistenza del fabbricato;
- le distanze tra la scala e le pareti finestrate devono essere considerate tra lo spigolo della parete finestrata dell’edificio fronteggiante e la scala aperta, atteso che l’art. 9 del D.M. 02/04/1968 n. 1444, si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale;
- anche dopo l’art. 5, D.L. 32/2019, comma 1, lett. b-bis), in zona B, così come nelle altre zone (D, E, F), per le “nuove costruzioni”, vale il limite della distanza di 10 metri (senza maggiorazioni). La norma invocata non incide infatti sul contenuto normativo dell’art. 9, del D.M. 1444/1968, comma 1, n. 2), secondo cui per i nuovi edifici ricadenti in altre zone è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Nella fattispecie, il Consiglio ha rinvenuto i presupposti per l’applicazione del suddetto limite in quanto:
- l’attività edilizia posta in essere doveva essere qualificata come “nuova costruzione";
- dal certificato urbanistico presente nella documentazione raccolta risultava che l’edificio era situato in zona omogenea B2/S.

STATO LEGITTIMO DELL’IMMOBILE - Da ultimo, non risultava neanche pertinente il richiamo all'art. 9-bis, D.P.R. 380/2001, comma 1-bis, aggiunto dal D.L. 76/2020 (conv. dalla L. 120/2020) sullo stato legittimo dell’immobile (vedi Stato legittimo degli immobili) in quanto nel caso di specie era proprio lo stato legittimo dell’opera a non risultare da alcun titolo abilitativo preesistente, essendo irrilevante la circostanza che la presenza della scala “così come è allo stato attuale” fosse stata segnalata sia nella DIA che nella successiva CILA presentata al Comune.

Dalla redazione