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Delib. G.R. Lombardia 16/05/2007, n. 8/4732

Revisione della "Direttiva Regionale per la Pianificazione di Emergenza degli Enti Locali" L.R. 16/2004, art. 4, comma 11).
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Testo del provvedimento


LA GIUNTA REGIONALE


Vista la L. 24 febbraio 1992, n. 225, che istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile, e all’art. 6, 1° comma, prevede che, secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze, le Regioni provvedano all’attuazione delle attività di protezione civile;

Vista la L. 24 febbraio 1992, n. 225 che all’art. 15 recita: «Il sindaco è autorità di protezione civile e, al

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Direttiva regionale per la pianificazione di emergenza degli enti locali (L.R. n. 16/2004 - art. 7, comma 11)

N1

Premessa e riferimenti normativi

A partire dal 1999 la Regione Lombardia ha puntato molto sul miglioramento dell’organizzazione locale di protezione civile, con finanziamenti mirati, direttive specifiche e corsi di formazione/informazione per volontari, tecnici ed amministratori.

La Direttiva Regionale per la Pianificazione di emergenza degli Enti locali, giunta con questa alla 3ª edizione, rappresenta il principale riferimento per l’organizzazione del servizio comunale di protezione civile.

Questa edizione rappresenta l’evoluzione verso uno strumento sempre più snello, tecnico ed operativo, che racchiuda in un solo documento tutte le indicazioni necessarie alla stesura di un piano di emergenza; l’auspicio della Regione Lombardia è che l’applicazione di quanto contenuto conduca alla stesura di piani di emergenza maggiormente rispondenti alle reali necessità degli Enti locali, che rappresentano il primo gradino della risposta ad un’emergenza.

Il servizio nazionale di protezione civile è regolato dalla L. n. 225/1992, modificata in seguito dal D.Lgs. n. 112/1998 e dalla L. n. 152/2005, che assegna al Sindaco il compito della prima gestione dell’emergenza sul territorio di competenza, nello spirito del principio di sussidiarietà, secondo cui la prima risposta al cittadino deve essere fornita dall’istituzione ad esso territorialmente più vicina.

Inoltre, la L. n. 265/1999, art. 12, ha trasferito al Sindaco il dovere di informare tempestivamente la popolazione sulle situazioni di pericolo o connesse alle esigenze di protezione civile.

Deve essere sottolineato come alcune norme più generali, relative all’attività degli Enti locali (D.M. 28 maggio 1993, art. 1; D.Lgs. n. 267/2000) introducono il concetto fondamentale che il servizio protezione civile comunale rientra nel novero dei servizi essenziali erogati al cittadino.

Alla luce di ciò, il Piano di Emergenza Comunale rappresenta lo strumento principale a disposizione del Sindaco per fornire questo servizio.

Il D.Lgs. n. 112/1998, art. 108, punto c), suddivide in dettaglio le competenze nella redazione dei piani di emergenza, a livello comunale ed intercomunale, prevedendo un ruolo di coordinamento da parte delle comunità montane nel territorio di competenza, in merito alla stesura del piano di emergenza intercomunale.

Il principale riferimento in materia di pianificazione di emergenza è rappresentato dal «Metodo Augustus», pubblicato dal Dipartimento Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1997, anche se mai ufficializzato con atto normativo. Il «Metodo Augustus», di origine anglosassone, mette al centro dell’obiettivo l’approfondita analisi territoriale, necessaria ad individuare il contesto in cui deve operare il modello di intervento, gestendo le risorse umane e materiali a disposizione.

A livello regionale, oltre alla L.R. n. 16/2004 «Testo unico in materia di protezione civile», il riferimento è dettato dalle «Direttive regionali per la pianificazione di emergenza degli Enti locali» (Delib.G.R. n. 6/46001 del 28 ottobre 1999), riviste una prima volta nel 2003 (Delib.G.R. n. 7/12200 del 21 febbraio 2003) ed aggiornate con il presente documento.

Per i riferimenti tecnici e normativi relativi ai singoli rischi, che in alcuni casi rendono obbligatoria la stesura del piano di emergenza comunale, si rimanda ai capitoli successivi.

Riassumendo, le competenze previste in materia di pianificazione di emergenza sono suddivise come segue:

L’attività di indirizzo normativo compete:

- al Dipartimento della Protezione Civile per i livelli nazionale, regionale e locale;

- alla Regione per i livelli regionale e locale.

L’attività di pianificazione (redazione dei Piani di Emergenza) compete:

- al Dipartimento della Protezione Civile, per i piani nazionali;

- alle Province, per i piani provinciali;

- ai Comuni, anche in forma associata, per i piani comunali;

- alle Comunità Montane per i Piani intercomunali in aree montane.

L’attività di gestione degli interventi di soccorso e di emergenza compete:

- al Sindaco, per gli eventi di protezione civile di cui alle lettere a) e b), comma 1, art. 2, L. n. 225/1992, per il territorio di competenza;

- al Prefetto ed al Presidente della Provincia, secondo le competenze, per gli eventi di protezione civile di cui alla lettera b), comma 1, art. 2, L. n. 225/1992;

- al Dipartimento Protezione Civile, per gli interventi di protezione civile di cui alla lettera c), comma 1, art. 2, L. n. 225/1992.

FIGURA N. 1 - QUADRO DELLE COMPETENZE

FIGURA N. 2 - SUSSIDIARIETÀ


Introduzione

Piani intercomunali

I Piani intercomunali, oltre che nei territori montani, ad opera delle Comunità Montane, possono essere realizzati da Unioni o associazioni di Comuni, anche temporanee (D.Lgs. n. 267/2000, art. 33).

Tale soluzione può essere ottimale per i comuni più piccoli, sia come territorio che per popolazione, per l’ottimizzazione delle risorse umane (es. polizia locale e volontari di protezione civile) e la condivisione delle risorse economiche.

La possibilità di redigere un piano di emergenza intercomunale deve essere attentamente valutata, poiché, sia per piani relativi a comunità montane, che per associazioni o Unioni di comuni, il dettaglio deve essere quello di un piano comunale, non essendo previsto un ulteriore approfondimento a carico delle singole amministrazioni comunali: un piano intercomunale è pertanto la SOMMA, non la SINTESI, dei piani dei comuni coinvolti.

Inoltre, in ogni caso, il modello di intervento deve essere concordato con le Autorità comunali di protezione civile, individuate dalla normativa vigente nei Sindaci, che in quanto tali sono gli unici responsabili delle operazioni di previsione, prevenzione e soccorso nell’ambito comunale.

La comunità montana può ricoprire un ruolo di coordinamento tecnico e di supporto operativo, per supplire alle eventuali carenze di personale, tecniche ed organizzative dei singoli comuni.

Quindi, il piano di emergenza intercomunale è costituito da una parte, identica per tutti i comuni, di inquadramento complessivo del territorio e da varie sezioni specifiche, riferite a ciascun comune, contenenti il dettaglio delle situazioni locali.

Lo stesso discorso vale per la parte cartografica e per il modello di intervento.


Soggetti abilitati alla redazione del Piano

L’importanza rivestita dalla redazione del Piano di Emergenza comunale, che non deve essere solo un assemblaggio di procedure e elenchi di uffici e numeri di telefono, ma un processo completo che parte dall’analisi dei rischi per giungere alla definizione di scenari di rischio ad essi collegati, richiede che il personale incaricato della stesura del piano stesso possieda capacità ed esperienza adeguate e che i rischi considerati nel piano vengano trattati in modo da garantire la stesura di documenti completi e tecnicamente e scientificamente accettabili.

In assenza del personale qualificato nell’organico degli uffici tecnici delle amministrazioni comunali, sarà possibile affidarsi a professionisti esterni, associazioni di professionisti (ognuno per la propria area di competenza), società di progettazione (costituite sempre da professionisti qualificati) ed esperti in materia di protezione civile (coordinatori di emergenza formati a livello regionale o nazionale), fermo restando il compito di supervisione del piano da parte dell’amministrazione interessata.

È infatti prassi consolidata assegnare un incarico esterno con l’obiettivo di ottenere un prodotto «chiavi in mano», senza affiancare il professionista o la società incaricata nella stesura del Piano; il risultato che ne scaturisce è quello di avere piani di emergenza «filosofici» e teorici, non contestualizzati con gli scenari di rischio, soprattutto in riferimento al modello di intervento, che costituisce il cuore del piano stesso.

Il redattore del piano non potrà, né sarà suo compito (a meno di accordi specifici), individuare autonomamente nel dettaglio il contenuto del modello di intervento che dovrà essere predisposto in stretta collaborazione con la struttura comunale.


Fonti dei dati

Come fonti scientifiche relative ai rischi considerati, potranno essere utilizzati i documenti ufficiali emessi dalle amministrazioni pubbliche a livello provinciale, regionale e statale, gli studi prodotti da università e centri di ricerca, i documenti tecnici allegati alla pianificazione urbanistica comunale, i dati pubblicati sui siti internet istituzionali di Province, Regione e Stato.

Nei capitoli relativi ai singoli rischi verranno date indicazioni di dettaglio sui principali documenti disponibili.


Supporti informatici del Piano

L’evoluzione della tecnologia nella gestione della cartografia digitale rende ora disponibili numerosi software di tipo GIS (Sistemi Informativi Territoriali) che consentono la gestione integrata di database e cartografia.

L’utilizzo di software GIS è mirato ad ottenere un documento agile, non eccessivamente carico di allegati cartografici, che possano essere stampati ad hoc in caso di necessità; tutti i dati rilevati e raccolti possono essere inquadrati in strati informativi, visualizzati a seconda dei bisogni specifici.

Esistono in commercio numerosi software per la «gestione dell’emergenza»: si tratta di prodotti che uniscono database, più o meno evoluti, a sistemi GIS, più o meno raffinati, per presentare i dati territoriali in cartografie tematiche. Alcuni riprendono schemi procedurali noti, tratti solitamente dal «Metodo Augustus», per istradare l’operatore su una rotta prefissata.

Occorre precisare che in nessun caso l’adozione di questi programmi è obbligatoria; infatti, il supporto informatico è solo uno strumento e non il fine delle attività di pianificazione.

In alternativa potranno essere utilizzati software a larga diffusione, integrabili tra loro in modo semplice.

Per quanto riguarda la cartografia, si dovrà tenere conto, in merito ai formati dei file prodotti, degli standard stabiliti dalla Regione Lombardia nell’ambito delle attività di analisi dei rischi e della pianificazione territoriale.


Struttura del Piano di emergenza

Lo schema di riferimento per la stesura di un piano di emergenza è ormai un fattore consolidato e riconosciuto dagli addetti ai lavori.

Il primo passo è rappresentato dalla raccolta dei dati territoriali ed infrastrutturali (centri abitati, insediamenti produttivi e turistici ed infrastrutture di trasporto) e la loro rappresentazione su una o più carte a scala adeguata, per consentire una visione di insieme dell’area interessata, ma allo stesso tempo permettere di comprendere le caratteristiche del territorio.

In seguito, dall’incrocio tra le caratteristiche infrastrutturali e la pericolosità legata ai fenomeni attesi, verranno costruiti gli scenari di evento, distinti per tipologia di rischio e per livello di intensità ipotizzata dei fenomeni.

A ciascuno scenario, o successione di scenari, dovrà essere associato un modello di intervento, ove possibile agganciato a soglie di allarme.

Il modello di intervento deve essere necessariamente tarato sulla base dell’Unità di Crisi Locale, che andrà descritta nel dettaglio, individuandone le figure che la compongono ed i ruoli e le responsabilità di ciascuna, in ogni fase del processo di gestione dell’emergenza.

Infine, per non ridurre il piano ad un semplice documento cartaceo, dovranno essere previste le modalità con cui il piano verrà testato ed aggiornato nel corso del tempo.

FIGURA N. 3 - STRUTTURA DEL PIANO

Al fine di rendere più agevole l’aggiornamento, la distribuzione e la consultazione del Piano, si dovrà prevedere la realizzazione sia su supporto cartaceo che su supporto digitale e, nel caso il Piano venga redatto all’esterno delle strutture comunali, dovrà essere richiesta la fornitura dei file in formato «aperto» per consentirne la successiva rielaborazione (ad esempio, per la cartografia, file originari e non immagini raster o pdf).

Per rendere il piano pratico ed utilizzabile anche in situazioni disagevoli, si suggerisce inoltre di prevedere la possibilità di estrarre in modo veloce anche dal documento cartaceo le sezioni necessarie, sia testuali che cartografiche (esempio, raccoglitori ad anelli, cartografia in tavole formato massimo A3).

In aggiunta al documento del piano, dovranno essere previsti degli allegati contenenti l’elenco delle persone coinvolte nella gestione dell’emergenza (Unità di Crisi Locale, volontari di protezione civile, funzionari dell’amministrazione Comunale che ricoprono ruoli strategici ed utili in emergenza-anagrafe, ufficio tecnico,...), l’elenco delle risorse esterne con i relativi contatti e di mezzi ed attrezzature disponibili al momento della stesura del piano (ditte convenzionate).

Inoltre, sarà utile prevedere una serie di modelli di provvedimenti d’urgenza (Ordinanze Sindacali) e di comunicazioni, sia istituzionali che dirette alla popolazione.

Una volta predisposto, il piano di emergenza necessita di un continuo aggiornamento, soprattutto per quanto riguarda il modello di intervento, pertanto, già in fase di pianificazione, dovrà essere individuata, all’interno dell’amministrazione comunale, una figura (persona o ufficio) responsabile di tale attività.


Le componenti del Piano di emergenza comunale - Analisi delle infrastrutture

Il censimento delle infrastrutture presenti sul territorio è il primo passo indispensabile nella stesura del piano di emergenza; infatti, gli scenari di rischio ed il modello di intervento sono strettamente connessi alla presenza di edifici vulnerabili o strategici, strade, mezzi e materiali.

Nella rappresentazione cartografica, ai simboli che individuano la tipologia delle infrastrutture devono essere associati dei colori che ne identifichino l’utilizzabilità o meno in determinate situazioni di pericolo, valutate per ciascuno scenario di evento; per esempio, una struttura di accoglienza potrebbe essere considerata strategica, quindi disponibile, in caso di rischio incendio boschivo e, viceversa vulnerabile quindi indisponibile, in caso di rischio idrogeologico.

Sulle carte degli scenari di rischio tale differenza deve essere evidenziata con la differente colorazione del medesimo elemento.

I colori da utilizzare per i simboli sono: rosso in caso di struttura vulnerabile; verde in caso di struttura strategica.

Gli elementi minimali ed essenziali da considerare in fase di raccolta dati sono i seguenti:

- sedi istituzionali (Municipio, Prefettura,...);

- sedi delle strutture operative (Vigili del Fuoco, SSUEM-118, Croce Rossa, Forze dell’Ordine, Polizia Locale, Volontariato di Protezione civile, Centri Polifunzionali di Emergenza, magazzini comunali);

- sedi dei centri operativi (Centro Coordinamento Soccorsi, Centro Operativo Misto, Centro Operativo Comunale, Unità di Crisi Locale, Posto di Comando Avanzato);

- aree di emergenza (aree di attesa, ricovero/accoglienza, ammassamento);

- scuole, case di riposo, ospedali, palestre, campi sportivi, chiese, oratori, centri commerciali ed altri luoghi di possibile affollamento;

- piazzole omologate e/o temporanee per il possibile atterraggio di elicotteri, vasche per l’approvvigionamento di acqua;

- stazioni ferroviarie e degli autobus, aeroporti, porti;

- life-lines ed impianti energetici (elettrodotti, gasdotti, centrali elettriche, depositi e distributori di carburante);

- reti tecnologiche principali (acquedotti e fognature);

- viabilità principale (autostrade, superstrade, strade statali, strade provinciali, con relativi punti critici, come strettoie, gallerie, sottopassi...);

- viabilità minore (collegamenti con gli ospedali e le principali infrastrutture di trasporto, collegamenti intercomunali principali, con relativi punti critici, come strettoie, gallerie, sottopassi, ponti a portata ridotta...).

I dati dovranno essere rappresentati su cartografia aggiornata a scala di medio dettaglio (indicativamente 1:10.000-1:5.000), a seconda delle dimensioni del territorio interessato, con l’obiettivo di consentire una visione globale del territorio.

La soluzione cartografica ottimale è rappresentata dal rilievo fotogrammetrico comunale, o dalla mappa catastale digitale, che consentono di arrivare anche all’individuazione del numero civico (caratteristica utile soprattutto per la stesura delle carte degli scenari, descritte in seguito).

In alternativa, potranno essere utilizzati gli strati cartografici disponibili sul SIT (Servizio Informativo Territoriale) della Regione Lombardia, accessibili direttamente dalla homepage del sito www.cartografia.regione.Lombardia.it.

In ogni caso, la stesura del piano in formato digitale consente di effettuare ingrandimenti delle aree di interesse fino ad un ingrandimento ottimale.


Analisi della pericolosità

Rischio idrogeologico

Normativa di settore

La normativa in materia di rischio idrogeologico che prevede l’obbligo di redazione del piano di emergenza è rappresentata dalla L. n. 267/1998, dalla L.R. n. 12/2005 e dal PAI (Piano per l’Assetto Idrogeologico) dell’Autorità di Bacino del fiume Po (D.P.C.M. 24 maggio 2001).

La L. n. 267/1998 prevede l’obbligo per i comuni interessati da perimetrazioni di aree ad elevato rischio di redigere il piano di emergenza per le suddette aree, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

La L.R. n. 12/2005, nei «Criteri ed per la definizione della componente geologica, idrogeologica e sismica del Piano di Governo del Territorio» (Delib.G.R. n. 8/1566 del 22 dicembre 2005) prevede l’obbligo della redazione del piano di emergenza nelle aree individuate ad R4 del territorio comunale.

Il PAI sottolinea come, all’interno della Fascia C di esondazione, l’unico metodo di riduzione del rischio sia rappresentato dalla predisposizione del piano di emergenza comunale.


Fonti dei dati per l’analisi della pericolosità

- Esondazione dei corsi d’acqua di pianura e di fondovalle

I documenti di riferimento ufficiali pubblicati dall’Autorità di Bacino del Po sono:

- il «Piano Stralcio per le Aree a rischio idrogeologico molto elevato (PS 267)» (1999) in cui è contenuto l’elenco delle aree perimetrate e sottoposte a vincolo di edificazione. La scala cartografica utilizzata è 1:25.000, ma la Regione Lombardia, per giungere alla determinazione delle aree, ha effettuato studi di maggiore dettaglio, in possesso dei Comuni interessati, che costituiscono un documento essenziale per gli scopi di protezione civile.

- il PAI dell’Autorità di Bacino del fiume Po (2001), con cui sono state ufficializzate le perimetrazioni delle Fasce Fluviali (A, B, C) e sono stati forniti ai Comuni ulteriori dati sul rischio idrogeologico, alla scala 1:25.000.

Sul sito dell’Autorità di Bacino, www.adbpo.it, sono disponibili in formato vettoriale i dati relativi alle perimetrazioni di PS 267 e PAI.

Per i corsi d’acqua minori, dati utili potranno essere reperiti nei Programmi di Previsione e Prevenzione Provinciali e nei Piani di Emergenza Provinciali.

Potranno inoltre essere considerati tutti gli studi ed i documenti specifici, realizzati da liberi professionisti a supporto degli strumenti urbanistici comunali, da Enti Pubblici ed Enti di Ricerca (ARPA, CNR, Università, Fondazioni,...).

- Dissesti idrogeologici

Per frane, colate di detrito, erosione di versante, erosioni torrentizie ed eventi simili, il riferimento principale è il censimento dei dissesti realizzato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Progetto IFFI, disponibile sul SIT regionale nella sezione dedicata alla cartografia on-line: «GeoIFFINet - Inventario delle frane e dei dissesti idrogeologici della Regione Lombardia» (cfr. link in www.cartografia.regione.Lombardia.it).

Per dissesti specifici potranno essere utilizzati gli studi compiuti dalla Regione Lombardia in collaborazione con gli Istituti del CNRGNDCI e pubblicati nell’ambito del Progetto SCAI - «Studio Centri Abitati Instabili» delle province di Sondrio, Pavia, Lecco e Bergamo.

A livello comunale un documento fondamentale è lo studio geologico a supporto del Piano di Governo del Territorio, sia realizzato ai sensi della L.R. n. 41/1997, che ai sensi della L.R. n. 12/2005 - Delib.G.R. n. 8/1566 del 22 dicembre 2005 (cfr. link in www.cartografia.-regione.Lombardia.it e www.pgt.regione.Lombardia.it).

Inoltre, potranno essere consultati i Programmi Provinciali di Previsione e Prevenzione ed i Piani di Emergenza Provinciali, oltre a studi realizzati da Enti Pubblici ed Enti di Ricerca (ARPA, CNR, Università, Fondazioni,...).

Per quanto riguarda le metodologie per l’analisi della pericolosità, si potrà fare riferimento alle seguenti pubblicazioni:

- valutazione della pericolosità e del rischio da frana in Lombardia (Regione Lombardia - D.G. Territorio ed Urbanistica - luglio 2001);

- individuazione ai fini urbanistici delle zone potenzialmente inondabili. Ricerca storica ed analisi geomorfologica. Torrente Staffora (PV), torrente Pioverna (LC) e fiume Serio (BG), 1999; fiume Oglio - Valcamonica (BS), 2001 - in collaborazione con IRER;

- INTERREG IIIA Italia/Svizzera «Sviluppo di un sistema di Gestione dei rischi idrogeologici nell’area del lago Maggiore - Azione 2: Pianificazione di emergenza sull’area del lago Maggiore con particolare riguardo al rischio idrogeologico» (Regione Lombardia - Protezione Civile e CNR/IRPI Torino - 2005)

- Dighe ed invasi

Sono considerate grandi dighe le opere di sbarramento di altezza maggiore di 15 m, o che determinino un volume di invaso maggiore di 1 milione di mc (Circ. Min. LL.PP. 19 aprile 1995, n. us/482). In Lombardia sono presenti circa un centinaio di grandi dighe, suddivise per competenza tra l’Ufficio di Milano del Registro Italiano Dighe (competente sul bacino idrografico del Po, a valle della confluenza con il fiume Ticino), che ne sorveglia la maggior parte, e l’Ufficio di Torino del Registro Italiano Dighe (competente sul bacino idrografico del Po, a monte della confluenza con il fiume Ticino). Rientrano tra le grandi dighe lombarde anche le opere regolatrici dei grandi laghi prealpini: la traversa della Miorina, per il lago Maggiore; la traversa di Olginate per il lago di Como; la traversa di Sarnico, per il lago d’Iseo; la traversa di Idro, per il lago d’Idro; e la traversa di Salionze per il lago di Garda.

Per queste dighe esistono, presso gli Enti gestori delle stesse e presso le Prefetture competenti, i relativi piani di emergenza, che individuano le aree interessate da eventi di piena straordinaria o improvvisa a valle degli invasi.

Per i bacini di livello inferiore che sono soggetti al controllo della Regione, ai sensi della L.R. n. 8/1998, dovranno essere valutati caso per caso; attualmente, ai sensi della L.R. n. 26/2003, è in corso la predisposizione di un regolamento regionale in materia di dighe; fino alla sua emanazione, il riferimento operativo è rappresentato dalla Delib.G.R. n. 7/3699 del 5 marzo 2001.

Ulteriori informazioni si possono trovare sui siti: www.ors.regione.Lombardia.it e www.registroitalianodighe.it.

- Valanghe

Il principale riferimento per la valutazione della pericolosità da valanga è dato dalle «Carte della localizzazione probabile delle valanghe», redatte sulle indicazioni di AINEVA, che coprono le principali località della zona alpina e prealpina interessate da questo fenomeno. Le carte sono disponibili sul SIT regionale, nel Sistema informativo regionale valanghe - SIRVAL (cfr. www.cartografia.regione.Lombardia.it).

Inoltre, per le località interessate da rilevanti situazioni di rischio connesse ai fenomeni valanghivi si dovrà tener conto delle perimetrazioni conseguenti agli adempimenti della L. n. 267/1998; la cartografia relativa è disponibile presso i Comuni interessati, la Regione Lombardia e l’Autorità di Bacino del fiume Po.


Rischio sismico

A seguito del terremoto che ha colpito alcune regioni dell’Italia Meridionale nel mese di ottobre del 2002 è stata emanata una nuova classificazione del territorio nazionale relativa alla vulnerabilità sismica.

La classificazione, resa ufficiale con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, recepita con Delib.G.R. n. 7/14964 del 7 novembre 2003, ha introdotto una nuova zonazione dei comuni della Lombardia.

Recentemente l’Ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3519 del 28 aprile 2006 recante «Criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone», ha introdotto un’ulteriore evoluzione dei criteri per la costruzione delle mappe di pericolosità sismica, consultabili all’indirizzo http:zonesismiche.mi.ingv.it. Inoltre, all’indirizzo web http:esse1.mi.ingv.it/ sono disponibili ulteriori dati di pericolosità sismica.

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