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Sent. C. Cass. pen. 16/03/2015, n. 11128

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Sicurezza - Uffici e luoghi di lavoro - Esposizione all’amianto - Necessità di prevenzione - Omissione - Omicidio colposo - Le responsabilità del datore di lavoro.

Il datore di lavoro, per liberarsi dalle imputazione riguardanti le lesioni e la morte dei lavoratori esposti all’amianto, deve dimostrare di aver adottato oltre

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[Premessa]



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Sentenza

Omissis

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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26.4.2010 il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di Lemetti Luciano, Cortesi Giuseppe, Cipponeri Antonino, Grignano Salvatore e Scrima Giuseppe per una serie di reati tutti riconducibili a fatti riguardanti malattie professionali verificatesi per esposizione ad amianto nello stabilimento palermitano della Fincantieri-Cantieri Navali Italiani s.p.a..

In particolare, le imputazioni riguardavano 43 casi di omicidio colposo e 19 casi di lesioni personali colpose gravi o gravissime.

Il Tribunale, analizzando le risultanze delle relazioni peritali e comparandole con le deduzioni del consulenti di parte, procedeva, innanzitutto, all'accertamento dell'esistenza delle malattie professionali ed alla analisi della loro classificabilità come patologie derivanti dall'esposizione all'amianto patita in ambiente lavorativo; dopo tale valutazione, il giudice di prime cure esaminava in termini generali, la problematica relativa alla sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni contestate agli imputati e le suddette esposizioni patogenetiche verificando, poi, l'effettiva ascrivibilità dei fatti agII imputati e, quindi, la prevedibilità della patogenicità delle esposizioni in questione e l'evitabilità delle medesime esposizioni.

All'esito di tale verifica, il Tribunale perveniva, in termini generali, alla conclusione che negli anni in cui il Cantiere Navale di Palermo era stato diretto dagli imputati Lemetti (dall'1.7.1979 al 15.10.1982), Cortesi (dal 15.10.1984 al 30.11.1988) e Cipponeri (dall'1.12.1988 al 31.5.1997, rectius, per quest'ultimo non oltre 1'11.9.1991, data di entrata in vigore del d.lqs, n. 277 del 15.8.1991R: pagg. 99-100 della sentenza di primo grado), i soggetti che avevano lavorato in tale cantiere erano stati significativamente esposti all'inalazione e alla respirazione di fibre di amianto, con conseguente configurabilità del carattere professionale delle patologie asbesto-correlate, contratte o sviluppate negli anni in questione da alcuni di tali soggetti, causate dall'omessa adozione di qualsiasi seria misura di prevenzione per l'eliminazione o la riduzione della polverosità delle lavorazioni.

Alla medesima conclusione perveniva con riguardo alle posizioni degli imputati Grignano Salvatore, legale rappresentante della Bascoat dai 1982 alla metà di giugno 1986, e Scrima Giuseppe, legale rappresentante della Cooperativa Picchettini dal 1989 al 1995; entrambi gli imputati venivano, infatti, ritenuti responsabili per la mancata adozione delle misure di prevenzione atte ad evitare alle loro maestranze i rischi derivanti dall'esposizione all'amianto.

Il Tribunale, quindi, dichiarava la responsabilità penale degli imputati in ordine a gran parte dei reati loro ascritti.

In particolare, nei confront

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Considerato in diritto

5. Preliminarmente, va rilevato, ai sensi dell'art. 129, 10 comma c.p.p.R, e non ravvisandosi cause d'inammissibilità, che per i reati di omicidio colposo, oggetto di impugnazione, recanti la data di commissione (da individuarsi in quella del decesso del lavoratore) anteriore di 15 anni, 3 mesi e 26 giorni rispetto a quella odierna, tenuto conto sia della minore e più favorevole (ex art. 2 c.p.) pena edittale (da 1 a 5 anni di reclusione) prevista anteriormente alle riforme apportate dalla L. 102/2006 e dal D.L 92/2008R, convertito nella L 125/2008, sia del criterio di equivalenza adottato nel bilanciamento tra circostanze, sia degli ulteriori 3 mesi e 26 giorni di sospensione in primo grado, è ampiamente decorso Il temine prescrizionale (v. anche pagg. 212213 sent.) di 15 anni previsto per Il reato di omicidio colposo aggravato contestato (e ciò in forza della pregressa e più favorevole, ex art. 10 L. 251/2005, formulazione degli artt. 157, 160 e 161 c.p., vigente all'epoca della commissione dei reati), sicché i medesimi sono ormai estinti per l'intervenuta prescrizione, non ravvisandosi, ai sensi dell'art. 129,2° comma c.p.p., condizioni evidenti che ne consentano l'assoluzione nel merito (cfr. pagg. 414-415 sent.).

Consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza Impugnata nei confronti di Lemetti Luciano, In ordine ai reati di cui ai capi 1, 2, 6, 19, 23, 29, 30 e 35, di Cortesi Giuseppe, in ordine ai reati di cui ai capi 2, 6, 19 e 23 e di Cipponeri Antonino in ordine al reato di cui al capo 23, perché estinti i predetti reati per intervenuta prescrizione con eliminazione delle relative pene (che, in ossequio al calcolo operato dalla sentenza Impugnata a pag. 540 sono pari a un mese di reclusione per Lemetti e Cortesi e a giorni 20 per Cipponeri per ciascun reato loro rispettivamente ascritto e computato quale aumento per la continuazione) e conseguente rideterminazione della pena complessivamente inflitta a ciascuno degli imputati nei termini di cui in dispositivo.

6. Nel merito, i ricorsi degli imputati Lemetti Luciano, Cortesi Giuseppe e Cipponeri Antonino sono, nel resto, infondati e devono essere respinti; mentre è Inammissibile quello di Grignano Salvatore.

7. In linea generale e sistematica, non si può fare a meno di rilevare come i ricorrenti abbiano sostanzialmente reiterato le medesime censure rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel Giudice disattese con motivazione ampia e congrua ed assolutamente plausibile.

Invocano precipuamente Il vizio motivazionale con particolare riguardo alle opzioni scientifiche adottate dalla sentenza impugnata. AI riguardo si rammenta che il nuovo testo dell'art. 606, comma 1, ietto e) cod. proc. pen., come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati In via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento della possibilità di dedurre in sede di legittimità, il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione (cfr. Cass. pen. Sez. V, n. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215). Inoltre, per quel che concerne l'accertamento peritale, si è detto che il travisamento della prova nei cui limiti tale accertamento può essere oggetto di esame critico da parte del giudice, sussiste nel solo caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di "evidente incontestabilità" (Cass. pen. Sez. I, n. 47252 del 17.11.2011, Rv. 251404).

Ma non risultano rappresentati travisamenti di particolare rilevanza e comunque tali da essere irrimediabilmente determinanti ai fini della conservazione del complesso della struttura motivazionale della sentenza, non potendo certo apprezzarsi qualsiasi discosta mento dal dato acquisito, compensabile con le residue emergenze istruttorie, come decisivo e rilevante.

È stato anche affermato che il travisamento della prova sarebbe ammissibile solo nell'Ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie in relazione all'affermazione di responsabilità, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi In sede di legittimità, né risulta che il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia fatto richiamo ad atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen. Sez. II, 15.1.2008, n. 5994, Horvath; Sez. IV, n. 5615 del 13.11.2013, Rv. 258432; Sez. II, n. 318 del 21.12.2006, Rv. 235690 ed altre).

Del resto, è chiaro che la doppia pronunzia conforme implica una valutazione rafforzata del materiale probatorio perché condivisa in entrambi i gradi di giudizio dai giudici di merito che hanno attribuito alla prova raccolta un univoco e concorde significato la cui erroneità, per integrare il travisamento probatorio rilevante e deducibile in sede di legittimità, deve essere, oltre che determinante ai fini del decidere, anche tale da consentirne l'immediata percezione ovvero oggetto di rigorosa dimostrazione.

A fortiori, nell'ambito di contrapposte tesi scientifiche determinanti per la valutazione dei dati raccolti e per l'opzione di scelte decisionali finali, non ogni sfaccettatura delle circostanze portate a conoscenza del giudice può essere presa in considerazione per contestare, sotto il profilo del travisamento probatorio, il percorso logico seguito dal medesimo ovvero l'adesione a questa o a quella teoria, ma solo il nucleo basilare delle sue argomentazioni che, una volta che abbiano trovato il radicato supporto della comunità scientifica, devono ritenersi correttamente adottate ed insuscettibili di censure.

Invero, in conformità al consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito può scegliere, tra le diverse tesi prospettate dal perito o dai consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia motivatamente conto delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e confuti ie deduzioni contrarle delle parti (Cass. Pen., Sez. IV n. 34747 del 17.5.2012, Rv. 253512; n. 45126 del 6.11.2008, Rv. 241907; n. 11235 del 5.6.1997, Rv. 209675): sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua In sede di merito, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità. Peraltro, l'esigenza di fornire una congrua motivazione del rigetto delle tesi e delle deduzioni contrarie a quelle condivise, può ritenersi adeguatamente soddisfatta dal giudice anche attraverso l'esame complessivo delle ragioni giustificative della decisione, allorché le articolazioni dello sviluppo argomentativo della sentenza appaiano tali da lasciar ritenere implicitamente superate le deduzioni disattese, per la logica incompatibilità delle stesse con l'obiettiva ricostruzione dei fatti operata dal giudice sulla base delle fonti probatorie richiamate e della coerente connessione delle stesse da parte del consulente richiamato. Ed è appena il caso di rilevare come la dedotta mancata valutazione da parte dei periti di tal une circostanze o dati non rappresenta un vero e proprio travisamento della prova, salvo che venga rigorosamente dimostrata l'assoluta decisività e rilevanza, ai fini di una diversa conclusione, delle circostanze asseritamente pretermesse.

Infatti, giova rammentare che nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo Invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette (cfr. Cass. pen. Sez. IV, 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187). Non si può prescindere da tale fondamentale principio, in una alla precisazione sopra fatta in relazione al dibattito tra teorie scientifiche contrapposte, nell'esame dei motivi di ricorso che sovente richiamano pregresse censure formulate in appello o circostanze su cui si deduce che i giudici di merito non si siano soffermati.

Ma la Corte territoriale ha fatto esplicito reiterato richiamo della motivazione della sentenza di primo grado condividendone e rafforzandone le argomentazioni e fornendo, come sopra anticipato, una motivazione ampia e congrua, esente da vizi di sorta con compiuta valutazione degli elementi probatori acquisiti di cui ha svolto un'analisi attenta e meticolosa, accompagnata da apprezzamenti estremamente corretti ed improntati a solida logica.

Del resto, a ben vedere, con i motivi di ricorso non si critica, in realtà, la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì si pretende la rilettura del quadro probatorio per giunta con adesione ad una teoria scientifica obsoleta e disattesa e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, non consentito in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione, quando -come nel caso in esame- la struttura razionale della motivazione della sentenza ha una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa ed è saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio.

8. È opportuno, a questo punto, per economia espositiva ed onde evitare superflue ripetizioni, accomunare tutte le doglianze sotto l'egida delle principali tesi difensive ad esse sottese, e quindi esaminare singolarmente le principali patologie riscontrate nelle persone offese.

Come sopra anticipato, le censure mosse riprendono -anche nei più piccoli particolari ed esemplificazioni (come il richiamo ai casi delle persone offese Di Giovanni, Cipolla e Pilota)- temi difensivi e considerazioni già svolte nei precedenti gradi giudizio, temi e considerazioni di particolare complessità sia per la natura delle questioni sollevate, sia per l'elevato grado di tecnicismo delle competenze richieste, sia perché talora comportanti ricadute in termini di responsabilità dei soggetti interessati.

Di tanto si sono compiutamente occupati i giudici di merito che hanno svolto per ciascuna delle questioni predette un analitico vaglio pervenendo, infine, ad un giudizio di scarto delle opposte tesi difensive all'esito di un rigoroso percorso logico-argomentativo che ha tenuto ampiamente conto di tutto il compendio Istruttorio.

Orbene, i motivi di ricorso ruotano, in ultima analisi, intorno a tre capisaldi tematici, per trarne precise conseguenze sotto Il profilo dell'insussistenza del nesso di causalità: 1) i protocolli scientifici a fondamento delle diagnosi; 2) i meccanismi patogenetici del mesotelioma, dell'asbestosi e del carcinoma polmonare e la sensibilità della patologia in essere alle ulteriori esposizioni; 3) la rilevanza di fattori di rischio alternativi, per quanto concerne il carcinoma- il fumo da sigarette tra tutti.

Due sono stati gli assunti difensivi di partenza: 1) l'omessa adozione di corretti protocolli diagnostici avrebbe erroneamente indotto il giudice a ritenere la natura professionale delle patologie; 2) una volta impiantata la prima cellula patogena, le esposizioni successive non influirebbero sullo sviluppo della malattia (teoria della "trigger dose") con la conseguente impossibilità di stabilire l'esatto momento d'insorgenza della malattia e quindi di attribuire con certezza ad uno o all'altro degli imputati la responsabilità dell'evento lesivo attesa l'irrilevanza causale delle condotte tenute in epoca successiva.

Né dall'istruttoria dibattimentale è emerso -salvo che per le tesi sostenute dai consulenti della difesa- un autentico contrasto nell'ambito della comunità scientifica internazionale in relazione ai tre nodi tematici sopra indicati, palesandosi una netta coesione al proprio interno: ciononostante, la Corte territoriale ha analiticamente replicato a ciascuna delle censure mosse con i motivi di gravame e ciò in pieno ossequio di quanto indicato da questa Corte con la sentenza n. 43786 del 17.9.2010, Cozzini, laddove afferma che "Si tratta di valutare l'autorità scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza; ma anche di comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati che vengono proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica. Da questo punto di vista il giudice è effettivamente, nel senso più alto, peritus peritorum ...",

Invero, la specifica competenza professionale dei consulenti Prof.ssa Musti e Prof. Menegozzo (che, assieme al dr. Silvestri, sono responsabili dei registri dei mesoteliomi per legge rispettivamente istituiti nelle regioni Puglia, Toscana e Campania: pag. 54 sent.) non è stata posta in dubbio nemmeno dalla difesa e la spiegazione della preferenza accordata alle tesi di tali consulenti emerge a chiare note dal complesso organico della motivazione della sentenza Impugnata. Infatti, i ricorrenti assumono che (censure da 3.1.1.1. a 3.1.3.), le diagnosi delle patologie asbesto-correlate sarebbero errate poiché, riguardo all'asbestosi, difetterebbe il riscontro delle fibre di amianto nei tessuti polmonari delle persone offese e, per il mesotelioma polmonare, sarebbe stato omesso l'esame immunoistochimico che avrebbe potuto fugare qualsiasi ambiguità clinica: quindi la Corte territoriale si era basata sulle conclusioni peritali e sui soli studi epidemiologici, di discutibile affidabilità, scartando, inspiegabilmente, i ben più rigorosi parametri offerti dai consulenti della difesa.

Ma la Corte territoriale non si è limitata a respingere in termini apodittici o meramente ripetitivi i motivi d'impugnazione specificamente proposti dall'appellante e a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado che ha pure riprodotto in alcune parti salienti, bensì ne ha anche motivatamente condiviso le conclusioni in relazione alla generale affidabilità delle diagnosi formulate dai consulenti e periti (ossia dalla Prof.ssa Musti e dal Prof. Menegozzi) che rispecchiavano la linea diagnostica dei maggiori protocolli Internazionali che indicavano nell'anamnesi lavorativa e nell'esame radiologico il fondamento dell'indagine dell'asbestosi, puntualmente argomentando sull'inconsistenza ovvero sulla non pertinenza delle relative censure con autonome considerazioni (pagg. 46-47 sent.), AI riguardo, ha richiamato l'osservazione risolutiva del Tribunale secondo cui lo stesso consulente della difesa aveva dovuto ammettere che il riscontro di fibre di amianto "non rientra tra I criteri indicati nel protocollo diagnostico internazionalmente più diffuso per la patologia in questione e che Invece sono quelli sostanzialmente usati dai consulenti dell'accusa e dai periti d'ufficio, vale a dire l'anamnesi lavorativa e il quadro radiologico", concludendo, assieme al Tribunale, per la generale affidabilità della diagnosi formulata dai suddetti consulenti e periti "sulle quali le imputazioni sono state modellate".

È stato così ribadito che l'unica ed esclusiva causa dell'asbestosi polmonare è costituita da un'intensa e prolungata esposizione all'amianto e rappresenta una malattia prettamente professionale; inoltre si è fornita adeguata risposta alle censure formulate con l'atto di appello contestando la tesi della scissione degli aspetti relativi alla diagnosi da asbesto e quelli relativi alla correlabilità della malattia all'esposizione all'amianto.

Con congrui supporti scientifici e sulla scorta delle osservazioni della consulente Prof.ssa Musti, della quale sono state richiamate le argomentazioni già riportate nella sentenza di primo grado -con cui si era affermato che le c.d, placche pleuriche (consistenti nell'ispessimento della pleura) possono comportare un danno di tipo funzionale, rientranti nella lesione dell'integrità psico-fisica del soggetto che ne sia affetto, inficiando funzionalità respiratoria ed interferendo con il meccanismo di reciproco scorrimento delle membrane pleuriche legato all'espansione e contrazione dei polmoni- correttamente si è concluso che le placche pleuriche sono una patologia asbesto-correlata che compromette la capacità espansiva del polmone (pag. 50 sent.). Quindi tali placche non sono mere alterazioni anatomiche, come tali non qualificabili come malattie e come sostenuto dal consulente della difesa che comunque ha dovuto ammettere che le placche pleuriche laddove siano "estese, multiple, bilaterali" possono produrre "un effetto corazza" che limita la espansibilità del polmone arrecando un vulnus alla funzione respiratoria (pag. 51 sent.).

È stata ritenuta corretta la metodologia diagnostica del mesotelioma pleurico seguita dai periti sulla base dell'attento studio degli atti, tenendo conto -a differenza dall'impostazione metodologica delle difesa- delle tecniche strumentali adoperate all'epoca dell'Insorgenza delle malattie, non potendo pretendersi che la diagnosi di tale patologia fosse condizionata al rinvenimento di riscontri obiettivi come quello costituito dall'esame immunoistochimico, e ciò in conformità dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità (pag. 54 sent.), Infatti, in un caso analogo già questa Corte ha condivisibilmente ritenuto la diagnosi di morte per mesotelioma, pur in mancanza degli esami clinici Istologico ed autoptico, riconoscendo che la sussistenza del nesso di causalità p

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P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di Lemetti Luciano, Cortesi Giuseppe e Cipponeri Antonino limitatamente ai delitti di cui al capi 1), 2), 6), 19), 23) 29) 30) e 35) loro rispettivamente contestati, perché estinti per prescrizione. Ridetermina in anni tre e mesi sei di reclusione la pena inflitta al Lemetti, in anni tre e mesi uno di reclusione la pena inflitta al Cortesi e in anni due, mesi sette e giorni' dieci di reclusione la pena inflitta al Cipponeri.

Rigetta il ricorso dei predetti nel resto e conferma le statuizioni civili.

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