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Sent. C. Stato 22/01/2013, n. 354

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1. Edilizia e urbanistica - Distanze legali tra le costruzioni - Sporgenze del fabbricato - Distanze legali dai confini - Opere di contenimento - Computabilità - Criterio. 2. Edilizia e urbanistica - Distanze legali tra le costruzioni - Nozione di costruzione ai fini dell’osservanza. 3. Edilizia e urbanistica - Distanze legali tra le costruzioni - Distanza tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968 - Natura - Prevalenza su disposizioni difformi presenti negli strumenti urbanistici. 4. Edilizia e urbanistica - Distanze legali tra le costruzioni - Distanza tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968 - Rilascio di permesso di costruire in difformità - Illegittimità - Dolo del funzionario pubblico - Conseguenze penali.

1. In tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. “aggettanti”) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato. Lo stesso può dirsi per le opere di contenimento che, comunque progettate in relazione alla situazione dei luoghi ed alla soluzione esteticamente ritenuta più confacente dal committente, hanno una struttura che deve essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere a

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SENTENZA

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente sentenza

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FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalla odierna appellante Tamborini Federica l’annullamento di due ordinanze emesse dal responsabile del Settore gestione del territorio del Comune di Lacchiarella, con le quali era stata disposta la demolizione di un edificio di propria pertinenza destinato ad autorimessa sito in via Giovanni XXIII n. 6, in quanto realizzato in parziale difformità dalla d.i.a. n. 126/06 del 15.11.06, e in difformità dagli strumenti urbanistici vigenti per violazione delle distanze dai confini e da pareti finestrate (“ad una distanza di confini inferiore a m 5,00 e non in aderenza come disposto dall’art. 2.12 delle N.T.A. vigenti”, nonché “ad una distanza da pareti finestrate inferiore a m 10”).

In particolare, la prima ordinanza avversata (26 luglio 2007 n. 30/GT/20079) era stata annullata dal comune in autotutela, in quanto viziata ex art. 7 della legge n. 241/1990; e la prescrizione ivi contenuta era stata reiterata mercé la ordinanza 25 marzo 2008 n. 9/GT/2008.

La detta ordinanza in ultimo citata muoveva dal rilievo che la distanza tra il box (oggetto della d.i.a. n. 126/06) e la parete finestrata dell’abitazione dei confinanti a est era pari a m. 7,50, (inferiore quindi alla distanza minima di m 10,00 prescritta dall’art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 e dall’art. 2.13 delle n.t.a. del p.r.g.), sicché “i lavori eseguiti devono intendersi realizzati in difformità dalla vigente normativa in materia di distanza dagli edifici delle pareti finestrate nonché dagli strumenti urbanistici vigenti”.

Su tale premessa l’ordinanza aveva disposto, ex art. 33 primo comma d.p.r. 8 giugno 2001 n. 380 (t.u. in materia edilizia), la demolizione delle opere eseguite in difformità dalla d.i.a., con restituzione dei luoghi in pristino stato.

Nel merito, la odierna appellante aveva prospettato sei distinte censure di violazione di legge ed eccesso di potere ( in particolare aveva dedotto: conformità del manufatto alla d.i.a., “mai revocata dall’Amministrazione”; violazione dell’art. 21-nonies legge n. 241/90, non sussistendo le condizioni per l’esercizio dell’autotutela, anche in considerazione dell’intervallo temporale - diciotto mesi - tra la presentazione della d.i.a. e l’ordine di demolizione; violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, non avendo essa preso parte al sopralluogo del 16 febbraio 2008, avvenuto a soli cinque giorni di distanza dalla comunicazione di avvio del procedimento, e prima della scadenza del termine per la presentazione di memorie e documenti; conformità della d.i.a. all’art. 2.12 delle n.t.a., che consente

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DIRITTO

1. L’appello è infondato e merita la reiezione.

2. Agli atti del fascicolo processuale si rinvengono tre dati ostativi all’accoglimento del gravame, che non sono stati contestati da parte appellante, la quale tenta di “aggirarli”, sostanzialmente facendo riferimento ad elementi del tutto insussistenti od inconferenti.

2.1. Preme al Collegio rilevare immediatamente che s’invoca l’art. 2.12 delle n.t.a. del p.r.g. dove si consente l’edificazione “sul confine”, quando è pacifico che non ricorre neppure detto presupposto di fatto, in quanto l’immobile non è sul confine, ma a una distanza di cm 60 da una recinzione in mattoni (questa sì posta sul confine).

Ciò sarebbe sufficiente a respingere l’appello perché infondato in punto di fatto.

2.2. Ma v’è di più. Anche laddove, a tutto concedere, si potesse “superare” il predetto dato fattuale ostativo, parte appellante ipotizza una “lettura” della citata disposizione di cui all’art. 2.12 delle n.t.a. distonica dalla realtà giuridica.

Di fatto, infatti, l’appellante oblia che la facoltà di costruire sul confine non implica che ciò implichi la dequotazione della norma - del pari contenuta nelle n.t.a.al prg di cui al successivo art. 2.13 delle n.t.a. - laddove essa ha reiterato la disciplina pubblicistica ed inderogabile in materia di distanze tra edifici.

La facoltà di costruire sul confine (peraltro neppure ricorrente nel caso di specie, come si è dimostrato dianzi) non comporta certo che si possa omettere di rispettare la successiva disposizione delle n.t.a. laddove la distanza tra edifici, per effetto della costruzione sul confine, venga ad essere inferiore al minimo inderogabile stabilito ex lege.

Tale conseguenza pretesa da parte appellante non si evince dalla combinata lettura delle due prescrizioni; e, laddove ciò si riscontrasse effettivamente (ma così non è), il dato interpretativo non potrebbe che importare la disapplicazione della disposizione, siccome collidente con la disciplina nazionale inderogabile( ex multis: “in tema di distanze tra edifici la disposizione di cui all'art. 9, comma 1 n. 2, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo volta non alla tutela del diritto alla riservatezza, bensì alla salvaguardia d'imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, e quindi tassativa e inderogabile, non solo impone al proprietario dell'area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metr

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P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, numero d

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